Testo della News:
In un anno il governo Monti ha chiesto e ottenuto la fiducia su ben 46 decreti legge. Si è cominciato con il ‘Salva Italia’, poi con il ‘Cresci Italia’, e si è andati avanti con altri decreti dai nomi più o meno altisonanti. Tutti con la giustificazione dell’urgenza e della necessità, requisiti che la Costituzione ritiene indispensabili per un decreto legge. Peccato che a valle di questi decreti non vi siano stati quei risultati concreti e quei cambiamenti che il governo dei professori sbandierava prima e, non senza faccia tosta, continua a sbandierare tuttora.
I numeri, in proposito sono impietosi: dai primi 33 decreti legge dovevano discendere ben 400 decreti attuativi, affidati ai ministeri competenti. Ma quanti di questi decreti attuativi hanno realmente visto la luce? Uno studio recente di Confindustria ha calcolato che i decreti attuativi condotti in porti sono stati pari al 17,4 per cento del totale. Per esempio, il ‘Salva Italia’, varato quasi un anno fa, a inizio novembre risultava attuato solo per il 39 per cento.
Tra le tante leggi rimaste sulla carta, quella sulla privatizzazione degli immobili pubblici costituisce un esempio lampante del dilettantismo dei professori al governo. In pratica, questo decreto - dopo l’approvazione del Parlamento - non ha fatto un solo passo avanti perché il governo tecnico non si è dato cura di distinguere gli immobili che erano a reddito in quanto utilizzati dalla stessa pubblica amministrazione, e quindi facilmente vendibili, da quelli praticamente invendibili, come le caserme dismesse, dove è richiesto un cambiamento d’uso che deve essere deciso dai Comuni.
Una prova di insipienza tanto evidente da sembrare incredibile. E se queste erano le premesse, si comprende meglio per quale motivo il governo tecnico non sia riuscito in 13 mesi a varare un solo provvedimento capace di stimolare la ripresa economica e la crescita. Certo, i professori hanno la parlantina sciolta, sono elogiati dall’Europa e dalle banche, sanno stare a tavola, scrivono libri pensosi e a volte anche editoriali brillanti. Ma per governare ci vuole ben altro.
   
     
 
 
 
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