Testo della News:
Il Pd si è trincerato per quaranta giorni sul mantra ossessivo del "cambiamento", ma alla fine dovrà accontentarsi di cambiare segretario. Già, perché la linea kamikaze dell'apertura ai grillini sta portando il partito nel nulla, e ormai il fronte dei dissidenti si sta allargando in modo esponenziale con le forti prese di posizione non solo di Renzi, ma anche di Franceschini e della stessa Bindi. Ma, nonostante il pressing interno per una maggiore apertura nei confronti del Pdl, Bersani sembra deciso a tirare dritto per la sua strada e continua a scommettere tutto sull'elezione del presidente della Repubblica. Dopo che sarà stato eletto un nuovo capo dello Stato, è il suo ragionamento, si chiuderà una partita e se ne aprirà un'altra, visto che il nuovo Capo dello Stato, a differenza di Napolitano, potrà sciogliere le Camere e allora la paura delle urne potrebbe spingere i dissidenti dei Cinque stelle, ma forse anche altri, ad appoggiare il tentativo Bersani. E' questa la partita che ha in mente il segretario, una partita che continua ad escludere il governo di larghe intese, anche se mascherato da "governo di scopo". E' in questa chiave che vanno dunque lette le interviste del neocapogruppo alla Camera Speranza e del suo omologo Zanda, i quali hanno spiegato come il dialogo tra sinistra, centro e destra sia obbligatorio per fare le "riforme di grande portata". Sortite abbastanza ambigue, che hanno lo scopo di tamponare i tanti big che non vogliono più sentir parlare di governi di minoranza e che ormai si sono schierati sempre più apertamente per un esecutivo Pd-Pdl. Se ci dovrà essere un cambio di linea - dicono i "giovani turchi" di stretta osservanza bersaniana - questo dovrà comunque passare da una nuova direzione del partito. Sarà probabilmente quella la sede dello scontro finale in un partito che non ha più una guida riconosciuta. E attenzione: se il disegno di Bersani è veramente questo, anche la questione Quirinale è destinata a complicarsi, nonostante il preannunciato incontro con Berlusconi, perché il segretario avrebbe tutto l'interesse a eleggere un presidente gradito solo a lui, disposto a mandarlo davanti alle Camere a cercarsi una maggioranza. In questa direzione, in effetti, va la manifestazione indetta in fretta e furia per domani a Roma, in coincidenza e in contrapposizione con quella del Pdl a Bari. Il titolo è significativo: contro la povertà e per un governo di cambiamento. E la vittoria di Ignazio Marino alle primarie per il Campidoglio sarà sicuramente utilizzata da Bersani come un altro argomento per sostenere che la base del Pd, premiando un esponente della sinistra interna, ha mostrato di gradire la sua linea di cambiamento. Ci sono insomma tutti i presupposti perché il Pd si avvii verso una resa dei conti che potrebbe portare all'implosione. L'impossibilità di determinare una linea precisa deriva dalla contraddizione politica insita nello stesso atto costitutivo del partito, ossia il patto di potere tra postcomunisti e postdemocristiani che in questi anni hanno trovato come unico elemento di coesione soltanto l'antiberlusconismo. Un equivoco che il risultato elettorale di febbraio ha esasperato in modo insostenibile, con un inevitabile rimescolamento di carte ora che c'è da scegliere tra l'avventurismo di Bersani e la linea di responsabilità nazionale che la maggioranza dei dirigenti vorrebbe invece intraprendere, lasciandosi finalmente alle spalle l'atavico complesso di superiorità nei confronti del centrodestra. |