22.03.2013 -POLITICA - Senza il PdL non c’è governo
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Non c’è governo, non c’è maggioranza senza Popolo della Libertà. Questo è il risultato vero delle consultazioni del Presidente della Repubblica, al di là del fatto che il primo incarico sia affidato Pier Luigi Bersani. Infatti tra i paletti di Giorgio Napolitano c’è anche, e soprattutto, che il futuro esecutivo abbia fin da subito, dal momento della fiducia, i numeri necessari tanto alla Camera quanto al Senato. E dopo l’ennesimo e prevedibile - per tutti, non per parte del Pd - rifiuto del Movimento 5 Stelle a sostenere un governo che non sia "grillino", chiunque vada a palazzo Chigi dovrà avere i voti del Pdl. È la traduzione della linea espressa ieri a Napolitano da Berlusconi e Alfano: dalle elezioni sono uscite tre grandi forze politiche equivalenti, ma ognuna di minoranza. Si tratta appunto del Pd, del Pdl e del M5S. Ma una di queste, il movimento di Beppe Grillo, non farà nessuna maggioranza con gli altri. Dunque la logica dei numeri, la sola alla quale il Quirinale correttamente si attiene, dice che occorre fare un governo con una maggioranza di coalizione. Quella che chiede il Pdl. Alla quale potrebbe anche aggiungersi la lista minoritaria di Mario Monti. È così fallito il tentativo di Bersani di ottenere il mandato a mettere in piedi un governo andando poi a cercarsi i voti al Senato. Un governo in partenza di minoranza, con il segretario democratico convinto di strappare di volta in volta qualche consenso grillino, magari sottobanco. Un governo che avesse come programma il famoso manifesto degli otto punti, dove non c’era nulla che si occupasse della vera emergenza nazionale: l’economia, il lavoro, la tutela dei nostri interessi in Europa. Bersani ha dovuto, in ritardo, prendere atto di tutto questo, e all’uscita dal colloquio con Napolitano ha tentato di salvare almeno l’immagine: prospettando un governo "di cambiamento" e una maggioranza, per così dire, a doppio binario: politica (cioè gradita al Pd e alla sua parte massimalista) e istituzionale, con una sorta di Bicamerale-bis per riformare la Costituzione. Un escamotage per coinvolgere il centrodestra senza dirlo, come gli aveva appena suggerito il Capo dello Stato. Non si sa se il tentativo di Bersani riuscirà. Il Pd è infatti diviso e lacerato. Il centrodestra che invece è unito, a differenza di Bersani stesso non ha mai detto "con tutti tranne che con il Pd". Anzi, si è anche dichiarato disponibile a far parte di una maggioranza politica assieme al centrosinistra, nel nome della responsabilità nazionale. Con lo stesso spirito, se Bersani dovrà passare la mano, ed il Quirinale presumibilmente affiderà l’incarico ad un tecnico o una figura istituzionale, il centrodestra darà egualmente il suo apporto. Su un programma concreto, però, che abbia appunto al centro l’economia e il lavoro. Che sono poi le medesime priorità trapelate dagli stessi colloqui con il Presidente della Repubblica. Bersani aveva imboccato tutt’altra strada, quella di un governo antiberlusconiano e di un programma "etico" (cioè egualmente antiberlusconiano) per solleticare i grillini e l’eterno richiamo della foresta della sinistra massimalista. Operazione fallita. Potrà forse fare il governo, ma a condizione che abbia una maggioranza. E con un programma serio. Oppure dovrà rinunciare. In entrambi i casi nella maggioranza e nelle decisioni sul programma ci sarà anche il Pdl, in prima fila.